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I contenuti degli articoli rappresentano esclusivamente le idee e le opinioni degli autori, e in nessun modo i punti di vista dell'Università Bocconi.

La svolta green della Costituzione, patto per il futuro

Aggiornamento: 24 nov 2022


Spiaggia Rodos di Rosa Marina (BR), foto dell'autore.

La Repubblica tutela l'ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell'interesse delle future generazioni: sarà questo il terzo comma dell’articolo 9, introdotto dal Legislatore a seguito del completamento dell’iter di approvazione della Legge costituzionale n. 1/2022. Esso riconoscerà – tra i Principi fondamentali – protezione giuridica non solo all’individuo in quanto tale ed in relazione agli altri, ma anche nel rapporto con tutto ciò che lo circonda.

Tuttavia, la tutela ambientale in Costituzione non è, in fondo, così innovativa: basti pensare al secondo comma dello stesso articolo, che già contempla la salvaguardia del paesaggio, la cui interpretazione estensiva, condotta negli anni dalla giurisprudenza costituzionale, ha inteso ricomprendere l’elemento ambientale, senza però esaurirsi in esso.


La lungimiranza della nostra Carta costituzionale di certo non sorprende: a distanza di oltre settant’anni dalla sua entrata in vigore, essa continua a dialogare costantemente con i problemi del nostro tempo, fornendo preziose chiavi di lettura della contemporaneità. Ne costituisce un esempio la tutela giuridica del diritto alla salute – riconosciuta dall’articolo 32 – sia nella sua dimensione individualeche come interesse della collettività: poche parole che indicano senza ambiguità la strada da percorrere alla politica nella gestione delle situazioni emergenziali, come quella che ci ha visto protagonisti – o meglio, vittime – in questi ultimi due anni.


Ebbene, è in tali casi – in cui emergono le criticità di un sistema sanitario, amministrativo, ma anche sociale e culturale – che la legge riacquisisce il suo ruolo di guida, di indicazione della retta via da percorrere ai suoi cittadini: in fondo, se ci pensiamo, è questa l’etimologia del termine “diritto”, dal latino dirigĕre. E certamente, dalla questione pandemica a quella ambientale, la Costituzione ha continuato ad indicarci la strada – forse l’unica percorribile – per salvaguardare il nostro futuro.


Le due emergenze sono intimamente legate tra loro: acquisita l’origine zoonotica del Coronavirus – come confermato dagli studi condotti dall’OMS – ne consegue che l’incremento dei contatti tra uomo e fauna selvatica, per effetto dell’antropizzazione degli ecosistemi, è alla base della trasmissione degli agenti virali dalla popolazione d’origine alla nostra. Si stabilisce, dunque, una relazione di causa-effetto tra crisi ambientale ed insorgenza delle pandemie.

Infatti, è proprio l’uomo ad incidere sull’ecosistema, sia per via diretta – tramite la deforestazione, lo sfruttamento selvaggio delle risorse minerarie e l’urbanizzazione – che per via indiretta – determinando, come conseguenza della sua impronta sull’ambiente, l’innalzamento della temperatura globale. Pertanto, sono alterati i normali cicli biologici e le abitudini di diverse specie animali, così da causarne la migrazione in habitat diversi da quello originariamente popolato.


Ma quale ruolo riveste il diritto, anch’esso prodotto dell’uomo, nell’arginare fenomeni così disparati e complessi, che spesso non conoscono confini nazionali?


Negli ultimi decenni, la legge ha mostrato un crescente interesse verso la crisi climatica, spesso – purtroppo – disatteso nella prassi. Una pietra miliare del diritto ambientale, quale il Protocollo di Kyoto, che aveva come nobile obiettivo quello di ridurre l’emissione di gas serra, limitando il surriscaldamento globale, ha forse diviso il mondo, piuttosto che unirlo: l’ingenua scelta di dispensare taluni Stati, non classificati come inquinatori storici – come la Cina e l’India – dal rispetto dei parametri prescritti, in aggiunta alla mancata ratifica da parte degli USA, riduce notevolmente i reali effetti del trattato, invero già contenuti e inadeguati, sul cambiamento climatico.

Tuttavia, la Comunità internazionale, a partire dal Summit della Terra del 1992 fino alla COP26 dell’anno appena concluso, non si è certo esonerata dal prodigarsi nel raggiungere accordi condivisi su scala globale, spesso però disattesi dalle singole entità statali, che hanno preferito cedere il posto al perseguimento di interessi egoistici, talvolta anche autolesionistici.


In una dimensione a noi più vicina, la tutela ambientale è stata posta a fondamento dell’Unione Europea, come sancito dal Trattato di Maastricht che, all’articolo 3, stabilisce come chiaro obiettivo il miglioramento della qualità dell’ambiente. Tale principio è stato successivamente riaffermato dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE, che espressamente richiede un livello elevato di tutela dell'ambiente e di miglioramento della sua qualità, da integrarsi nelle politiche dell'Unione, conformemente al principio dello sviluppo sostenibile: enunciazioni certamente di principio, ma allo stesso tempo giuridicamente vincolanti, che assumono una marcata connotazione per la politica comunitaria.

In tale contesto, gli Stati membri si impegnano a porre l’ambiente come denominatore comune delle proprie decisioni, emancipandolo da quella posizione di marginalità che – per troppo tempo – ha rivestito: una subordinazione determinata dalle istituzioni, ma anche da una porzione considerevole di opinione pubblica, che ancora oggi si ostina a reputare la crisi climatica in atto come marginale o persino fittizia.


In particolare, anche l’Italia non è stata inerte dinanzi alla richiesta, sempre più pressante, di una tutela giuridico-ambientale adeguata, nell’interesse dell’individuo, prima che del cittadino.

Tuttavia, i tempi del Legislatore sono spesso biblici, come testimoniato anche dall’attuale vuoto normativo in temi di scottante urgenza per la comunità nazionale, quale l’eutanasia, peraltro oggetto di un recente referendum abrogativo, poi dichiarato inammissibile dalla stessa Corte costituzionale. Tale decisione non deve, però, essere letta in chiave censoria o conservatrice, quanto piuttosto come un monito che la stessa Consulta intende lanciare alla politica, chiamata – nelle sue funzioni – a rispondere tempestivamente alle esigenze dei propri cittadini. Nell’attesa, la giurisprudenza – nel caso in analisi, costituzionale – estende o restringe il campo di applicazione di una disposizione normativa, nei limiti dei propri poteri, anche depenalizzando talune condotte sanzionate penalmente, in attesa di un più organico intervento legislativo.


Analogo ruolo decisivo, nella tematica qui analizzata con un maggior grado di approfondimento, è stato svolto dalla Corte nella definizione di bene giuridico ambientale, inteso in una prospettiva monista e nella sua intima connessione con l’individuo e la collettività. È illuminante, a tal proposito, la sentenza n. 210/1987 in cui, nel giudizio riguardante la legittimità costituzionale dell’istituzione del Ministero dell’Ambiente, la Consulta ha recepito le spinte comunitarie ed internazionali in tale direzione, sviluppando una concezione unitaria del bene ambientale, comprensiva di tutte le risorse naturali e culturali: in essa, ogni componente costituisce separatamente oggetto di tutela, in prospettiva – però – di una salvaguardia dell’ecosistema nella sua interezza, come confermato dalla giurisprudenza successiva.


È, dunque, l’interpretazione combinata del sopracitato articolo 9, nella sua forma originaria, unitamente all’articolo 32, a consentire alla Corte costituzionale di riconoscere questa unitarietà, declinata in chiave soggettiva, in quanto la tutela della vita umana, in ogni sua forma, comprende anche le condizioni in cui essa si svolge: tali condizioni rappresentano un valore primario assoluto che si dispiega, in misura sempre maggiore, in una dimensione anche sociale.


Alla luce di tali premesse, incoraggiate da una crescente presa di coscienza collettiva, di cui i giovani si sono resi promotori – viene a mente l’ormai iconico movimento del Fridays for Future, fondato e coordinato dalla giovane Greta Thunberg – la politica ha saputo finalmente interpretare tali rivendicazioni, dirette non solo a tutelare il presente, ma soprattutto a garantire un futuro alle nuove generazioni. Ed è in ciò che, a mio avviso, si rintraccia la chiave di volta della riforma costituzionale, in quell’interesse delle future generazioni su cui il Legislatore sceglie di porre l’accento, armonizzando il suo intervento normativo con l’intero impianto della Carta.


Il nuovo comma dell’articolo 9 prevede anche l’esplicita tutela degli animali, nei modi e nelle forme stabiliti dalla legge dello Stato: tale precisazione amplia la definizione della nozione di biodiversità, riportata in apertura, sostanziandola anche alla luce del corrispondente orientamento comunitario.

Infatti, la Dichiarazione sulla protezione degli animali, annessa al Trattato di Maastricht nel 1992, evidenzia come il benessere degli animali debba essere tenuto in considerazione nelle varie direttrici di sviluppo della legislazione dell’UE. Questo riferimento assume portata generale e astratta all’articolo 13 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, il quale riconosce agli animali lo status giuridico di esseri senzienti, certamente rivoluzionario, in rapporto al nostro Codice civile, che li considera ancora al pari dei beni mobili.

Il passo compiuto dal Legislatore, dunque, è un fondamentale punto di partenza nella lotta contro gli abusi ed i maltrattamenti, perpetrati sia ai danni degli allevamenti e della fauna selvatica che – sempre più spesso – in ambito domestico.


La portata riformatrice della legge prosegue, intervenendo nel Titolo III della Costituzione, all’articolo 41, che disciplina l’iniziativa economica privata.

Da oggi, 9 marzo 2022, giorno a partire dal quale il testo emendato entra in vigore, essa dovrà essere svolta – in prima battuta – senza recare danno alla salute ed all’ambiente, anteponendo tali determinazioni anche alla libertà ed alla dignità umana, attualmente già previste – unitamente alla sicurezza – dal secondo comma. Tale intervento pone la tematica ambientale al pari dei tradizionali diritti inviolabili dell’uomo – di cui all’articolo 2 – rafforzandone la tutela giuridica, ma anche le finalità sostanziali. Infatti, la legge monitorerà che l’attività economica – sia nella sua dimensione pubblica che in quella privata – possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali, orientando l’attività dell’imprenditore sulla strada della sostenibilità.


La legge di revisione costituzionale si conclude con una clausola di salvaguardia, in riferimento ai modi ed alle forme di tutela degli animali, di cui all’articolo 9, che saranno disciplinati dalla legge statale, trovando un limite nelle competenze legislative riconosciute dai rispettivi statuti alle autonomie regionali e provinciali di Trento e Bolzano. Nel rispetto della ripartizione delle reciproche competenze, lo Stato, le Regioni e le autonomie devono ispirarsi, nella propria azione, al principio di leale collaborazione, con l’obiettivo di curare e proteggere un bene comune, l’ambiente, che non conosce confini e suddivisioni normativo-territoriali.


Alla luce di tali considerazioni, ci si chiede se tale emendamento della Costituzione cambierà nei fatti la nostra percezione del problema, il nostro modo di lasciare impronte sul pianeta, così che esse non siano più unicamente ferite. Certamente, la legge ci indica la strada, ma spetta a noi percorrerla, per poterla un giorno mostrare alle generazioni che ci seguiranno. Forse, meriteranno anche queste ultime di beneficiare di un mondo che – seppur così maltrattato – continua a rispettarci. Verum et in hoc naturae maiestas.



By: Edoardo Conti Piliego



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