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I contenuti degli articoli rappresentano esclusivamente le idee e le opinioni degli autori, e in nessun modo i punti di vista dell'Università Bocconi.

L'extrema ratio della rielezione

Aggiornamento: 24 nov 2022

Il secondo mandato del Presidente della Repubblica e la sua conformità allo spirito della Costituzione


Il Presidente Mattarella al suo (secondo) discorso di insediamento. Fonte: Quirinale.it

Negli ultimi giorni si sono svolte le votazioni per l’elezione del Presidente della Repubblica. Il Parlamento, all’esito della quinta elezione più lunga della storia repubblicana, dopo aver preso in considerazioni molti nomi, ha scelto di eleggere a Capo dello Stato, con 759 voti, nuovamente Sergio Mattarella, il cui settennale mandato sarebbe scaduto lo scorso 3 febbraio, giorno in cui invece ha prestato di nuovo giuramento. Questo fa di lui il secondo Presidente più votato dopo Sandro Pertini.


L’accordo dei leader di partito, ad esclusione di Giorgia Meloni, si è reso necessario dopo una settimana di proposte da parte del centrodestra, su cui però non si sono riusciti a raccogliere i consensi necessari degli altri Grandi Elettori. Ecco, quindi, che l’iniziale e categorico veto di molti ad un Mattarella bis, è stato rivalutato, soprattutto su pressione del Segretario del Partito Democratico Enrico Letta, divenendo talvolta motivo di attrito, come nel caso di quanto accaduto tra i pentastellati. Tale decisione è stata alquanto contestata, in primo luogo perché denota l’incapacità delle attuali forze politiche di accordarsi su un nome diverso da quello di Mattarella, ma anche perché l’effettiva rieleggibilità del Capo di Stato suscita da tempo dubbi di incostituzionalità.


Ma facciamo un passo indietro: chi è il Presidente della Repubblica? Qual è il suo ruolo?


Quella di Presidente della Repubblica è considerata la più alta carica dello Stato; si tratta di un vero e proprio organo, monocratico e molto flessibile: a seconda della situazione politica a livello nazionale, infatti, i suoi poteri possono ampliarsi o restringersi, in base alle necessità. Inoltre, si trova al di sopra dei vari poteri dello Stato, cui rimane estraneo, al fine di adempiere al suo compito di supervisore del corretto funzionamento e dell’unità dell’intero meccanismo costituzionale. Il Presidente della Repubblica, poi, è titolare di una serie di competenze specifiche e predeterminate, puntualmente enunciate dall’articolo 87 della Costituzione; più in generale, svolge funzioni imparziali di collegamento tra i vari organi costituzionali dello Stato, di iniziativa ed impulso, garanzia e controllo del sistema costituzionale, di decisione sui conflitti tra Governo e Parlamento e di rappresentanza dello Stato. Insomma, è proprio – come lo definisce spesso la dottrina – un organo di sintesi fra le varie forze politiche.


In condizioni ordinarie, trenta giorni prima della fine del mandato il Presidente della Camera convoca il Parlamento in seduta comune e i delegati regionali per l’elezione del nuovo Capo di Stato, che deve essere in possesso della cittadinanza italiana, avere almeno cinquanta anni di età ed il pieno godimento dei diritti civili e politici. Per i primi tre scrutini si richiede una maggioranza qualificata, poiché si auspica che il Presidente della Repubblica, in veste di organo imparziale super partes, possa ricevere un numero di consensi più ampio di quello normalmente previsto per le maggioranze governative. Dal quarto scrutinio, invece, è prevista una normale maggioranza assoluta per evitare di prolungare l'elezione del Capo dello Stato sminuendo, così, il prestigio della carica di fronte all'opinione pubblica. Seguono il giuramento di fedeltà alla Repubblica ai sensi dell’art. 91 Cost. e il messaggio d’insediamento in forma orale: esattamente quello che è avvenuto pochi giorni fa.


Il Presidente della Repubblica rimane in carica sette anni (per svincolarlo dalla maggioranza che lo ha eletto), ed il mandato decorre dalla data del giuramento, e allo scadere della carica il Capo di Stato diviene automaticamente Senatore a vita. Questo – però – se non viene rieletto.


La lettera della Costituzione nulla dice circa divieti a un ipotetico secondo mandato del Presidente della Repubblica. Nondimeno, già durante l’Assemblea costituente, si discusse dell’opportunità di inserire dei limiti a tale possibilità, e più volte se ne è parlato in seguito. Dal momento che, però, nessuna modifica alla Carta costituzionale è riuscita a passare il vaglio del Parlamento, gran parte della dottrina pubblicistica, e la stessa prassi, ritiene che, effettivamente, il Presidente della Repubblica possa essere rieletto. Ad oggi, tale ipotesi si è concretizzata dapprima nel 2013, con la rielezione di Giorgio Napolitano, ed in fine lo scorso 29 gennaio, quando Sergio Mattarella è stato insignito nuovamente del mandato per il prossimo settennato.


Tradizionalmente, si giustifica questa possibilità deducendola – appunto – dal silenzio della Costituzione che nulla dice al riguardo, mentre vieta espressamente la rielezione di Giudici della Corte costituzionale e di membri del CSM (rispettivamente, artt. 135 e 104 Cost). Il rischio che questa eccezione diventi la regola, però, comporta che l’equilibrio dei poteri delineato dalla Costituzione verrebbe alterato. Il primo a preoccuparsi di questo rischio fu Antonio Segni, come di recente richiamato da Mattarella stesso in occasione dei 130 anni dalla nascita del quarto Presidente della Repubblica italiana. Nel 1963, Segni inviò un messaggio alle Camere in cui evidenziava alcune disfunzioni della Costituzione, delle “manchevolezze”, tra cui anche il semestre bianco.


Per semestre bianco si intende il periodo di sei mesi antecedente la fine del mandato presidenziale, durante il quale, come stabilito dall’art. 88 Cost., il Capo di Stato perde la sua facoltà di sciogliere le camere o anche una sola di esse, sentiti i loro presidenti.

La ratio di questa norma è quella di evitare che il Presidente, nella speranza di essere rieletto, possa sciogliere le Camere qualora gli fossero ostili, confidando nell’elezione di un nuovo Parlamento a lui più favorevole. Nel messaggio alle Camere di Segni si legge, però, che il semestre bianco «altera il difficile e delicato equilibrio tra i poteri dello Stato, e può far scattare la sospensione del potere di scioglimento delle Camere in un momento politico tale da determinare gravi effetti». Segni sosteneva che la durata settennale della carica è “sufficiente a garantire una continuità nell’azione dello Stato”, e che “la proposta modificazione vale anche ad eliminare qualunque, sia pure ingiusto, sospetto che qualche atto del Capo dello Stato sia compiuto al fine di favorirne la rielezione”. Inoltre, Segni specifica che “una volta disposta la non rieleggibilità del Presidente, si potrà anche abrogare la disposizione dell’art. 88 comma 2° della Costituzione, che toglie al Presidente il potere di sciogliere il Parlamento negli ultimi mesi del suo mandato”.


Anche il Presidente Leone, nel 1975, chiese la non rieleggibilità del Presidente della Repubblica. Il tentativo di riforma più concreto in tal senso si ebbe durante la IX legislatura, ad opera della commissione bicamerale presieduta da Aldo Bozzi: si proponeva l'introduzione della non immediata rieleggibilità del Presidente della Repubblica e la subordinazione del suo potere di scioglimento al parere conforme dei presidenti delle Camere durante gli ultimi sei mesi di mandato.


Ad oggi, sul tavolo vi è un disegno di legge proposto dai senatori dem Zanda, Parrini e Bressa. Il ddl prevede che si aggiunga all’art. 85 della Costituzione una specificazione circa la non rieleggibilità del Presidente della Repubblica, mentre il secondo comma dell’art. 88, quello sul semestre bianco, verrebbe, appunto, abrogato.


In estrema sintesi: se si eliminasse la possibilità di rieleggere per un secondo mandato il Presidente della Repubblica, non si renderebbe necessario il semestre bianco che, dal canto suo, modifica gli equilibri costituzionali comprimendo i poteri del Capo di Stato e tradendo effettivamente lo spirito della Carta costituzionale. E a tutte queste ragioni si aggiunga che l’immediata rieleggibilità del Presidente della Repubblica, comporta che la durata del mandato, nei fatti, ammonta a ben quattordici anni, tempo piuttosto lungo per una delle cariche più importanti di uno Stato democratico, che al contrario dovrebbe ispirarsi al principio dell’alternanza.


Tornando però al “cambio di rotta” dell’elezione dello scorso gennaio, il Presidente Mattarella, senz’altro avendo bene a mente quanto fin qui enucleato, ha dichiarato di aver accettato comunque la sua rielezione, soprattutto considerando il contesto dell’emergenza sanitaria, economica e sociale che il nostro Paese sta attraversando: lo ha fatto – come egli stesso ha affermato – in virtù del senso di responsabilità e del rispetto per le decisioni del Parlamento, confermandosi un vero “uomo delle istituzioni”.


By: Giulia Carboni


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