LA LEGGE DI BILANCIO 2025: UNA PROSPETTIVA NAZIONALE ED INTERNAZIONALE.
- Leo Colabella
- 10 gen
- Tempo di lettura: 7 min
Come ben sappiamo, la legge di bilancio costituisce il provvedimento economico più importante per il governo in carica, che arriva solo alla fine del cosiddetto “ciclo di bilancio”, un insieme di appuntamenti europei e nazionali che dura in pratica tutto l’anno e definisce le previsioni di entrata e di spesa per l'anno successivo e alloca le risorse necessarie per raggiungere gli obiettivi che il governo concorda in sede europea e non solo. Sotto quest’ultimo profilo comunitario, è importante sottolineare come Martedì 30 aprile 2024 sia entrato in vigore con la pubblicazione di tre atti legislativi, quali il regolamento (UE) 1263/2024 (cd. "braccio preventivo"), il regolamento (UE) 1264/2024 (cd. "braccio correttivo") e la direttiva (UE) 2024/1265, il nuovo quadro di governance economica dell'Unione europea, concepito per rafforzare la sostenibilità del debito degli Stati membri e promuovere una crescita sostenibile e inclusiva di questi ultimi. Si tratta della riforma più significativa, ampia e ambiziosa delle norme di governance economica dell'UE dall'inizio della crisi finanziaria, poiché ridefinisce le norme economiche dell’Unione. Il disegno di legge di bilancio 2025 presentato dal Governo il 23 ottobre 2024 si inquadra quindi nella fase di prima attuazione della riforma della governance economica europea appena citata.
Ma quali sono le finalità di questa riforma? nel regolamento (UE) 1263/2024 sono illustrati alcuni obiettivi principali, tra i quali: adottare una programmazione di medio-lungo periodo per conseguire finanze pubbliche sane e sostenibili; affrontare le sfide della transizione ecologica e digitale, della sicurezza energetica, del pilastro europeo dei diritti sociali, della difesa dell'UE e consentire un maggiore margine per le politiche fiscali anticicliche.
Inoltre, la riforma modifica gli strumenti e le procedure del coordinamento delle politiche di bilancio europee, introducendo un documento di programmazione pluriennale, presentato da ciascuno Stato membro e valido per un periodo analogo alla durata della legislatura nazionale: il Piano Strutturale di Bilancio. Esso individua il percorso di aggiustamento di bilancio (monitorato in termini di variazioone dell’aggregato della spesa netta), la traiettoria di riferimento elaborata dalla Commissione europea, una serie di investimenti e riforme da realizzare in funzione delle raccomandazioni specifiche per Paese, delle priorità condivise a livello europeo, della complementarietà con i fondi per la politica di coesione e il PNRR. Di conseguenza, Il piano strutturale di bilancio 2025-2029 è stato presentato dal Governo al Parlamento il 27 settembre 2024 a seguito dell’approvazione, il 9 ottobre 2024, di due risoluzioni da parte delle camere, tuttavia dovrà essere approvato con raccomandazione dal Consiglio dell’UE. Lo stesso piano fissa un obiettivo di tasso di crescita annuo della spesa netta pari al 1,3%, nel 2025, al 1,6% nel 2026, al 1,9% nel 2027 al 1,7% nel 2028 e al 1,5% nel 2029 per garantire nel medio periodo una riduzione stabile del livello del debito pubblico, mantenere la possibilità di impiegare alcuni spazi fiscali per il finanziamento di interventi selettivi e consentire di chiudere la procedura per deficit eccessivo nel 2027.
Orbene, la legge di bilancio è spesso oggetto di importanti polemiche, in relazione a quello che potrebbe comportare in ambito giuridico, economico e sociale.
Come mai avviene questo?
Sebbene possa sembrare un provvedimento di natura estremamente tecnica, in realta non lo è, in quanto rappresenterebbe uno degli atti più politici e identitari di un governo, perché è con la stessa legge di bilancio che vengono messe in risalto quelle che sono le priorità economiche della maggioranza. Dunque, trattandosi anche di uno strumento attraverso il quale il governo può esercitare le proprie politiche, si può facilmente evincere come tale possa dividere l’opinione pubblica, anche magari da parte di chi, dal punto di vista elettorale, quella maggioranza parlamentare ha contribuito a formarla.
In particolare, a destare scalpore è stata la scelta del Governo di ridurre di 4,5 miliardi i fondi destinati al settore automotive destinandoli al Ministero della Difesa, come specificato dallo stesso Ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti in occasione dell’Audizione nell’ambito dell’attività conoscitiva preliminare all’esame del disegno di legge di bilancio per il triennio 2025-2027 tenutasi lo scorso 7 novembre. Difatti, è stato puntualizzato che è previsto un potenziamento degli investimenti in tale settore, per un valore complessivo di 35 miliardi nel periodo 2025-2039, misura che si aggiunge al finanziamento, per la prima volta permanente, delle missioni internazionali di pace. A tale riguardo, preme evidenziare che nonostante gli ingenti stanziamenti assegnati, l’obiettivo del 2 per cento del PIL richiesto dalla NATO risulta molto ambizioso e non del tutto compatibile sotto il profilo in particolare delle coperture con il quadro vigente della governance europea. Alla luce, infatti, degli stanziamenti previsti dal disegno di legge di bilancio arriveremo alla percentuale dell’1,57 per cento nel 2025, dell’1,58 per cento nel 2026 e dell’1,61 per cento nel 2027. Dunque, come è stato evidenziato dallo stesso ministro, le esigenze della NATO, seppur al momento appaiano come un miraggio, più che un vero e proprio obiettivo tangibile, hanno esercitato la loro inevitabile influenza nello spostamento di tali fondi, questo aiuta a capire una parte di quelle che sarebbero le strategie a livello politico del nostro governo in campo internazionale, infatti attraverso decisioni come queste l’Italia andrebbe a suggellare gli ottimi rapporti che intercorrono con chi all’interno della NATO recita il ruolo di primo protagonista, ovvero gli USA del neoeletto (per la seconda volta) presidente Donald Trump, che in tema di programma elettorale ha sottolineato più volte come uno dei suoi principali obiettivi fosse quello di porre fine ai conflitti, come quelli in Ucraina e Gaza, che al momento stanno mettendo in difficoltà l’umanità intera; quindi, una mossa come quella del governo italiano andrebbe inevitabilmente ad ampliare la credibilità internazionale della stessa NATO, dopo ultimi anni di politiche caratterizzate da incertezza in questo senso. Quindi, la legge di bilancio 2025, attraverso le tabelle di accompagnamento, certifica il il taglio dell’80% dal Fondo Automotive, gestito dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy, per interventi previsti fino al 2030. Con il Decreto Coesione c’erano già stati dei tagli, pari a 250 milioni di euro, ma adesso sarebbe arrivata una nuova sforbiciata che porterebbe ad un’inevitabile cancellazione del bonus. La misura coinvolge tutti i modelli, indipendentemente dal tipo di motore, che sia ibrido, elettrico, a benzina, Gpl o diesel.
Nella Manovra 2025 quindi non ci sarà alcun Ecobonus per l’acquisto di nuove auto. Istituito nel 2022 dal governo di Mario Draghi, è stato creato per sostenere gli incentivi alla domanda e favorire la riconversione della filiera, ma nella Legge di Bilancio recentemente approvata dal governo e attualmente in fase di esame parlamentare, è presente, come detto, un taglio di 4,55 miliardi di euro al Fondo Automotive. La riduzione è significativa: i 5,8 miliardi ancora disponibili dei 8,7 stanziati fino al 2030 si ridurrebbero a soli 1,2 miliardi, equivalenti a 200 milioni all’anno, una cifra decisamente modesta rispetto ai 950 milioni stanziati nel 2024, di cui ben 790 destinati agli incentivi per l’acquisto di veicoli. Basti pensare che solo il 3 giugno scorso, tra le 10:00 e le 18:35, si sono esauriti tutti i 201 milioni di euro destinati alle auto elettriche, con un ritmo di oltre 390 mila euro al minuto.
“Siamo impegnati a garantire che la filiera dell’automotive abbia gli strumenti necessari per affrontare la sfida della transizione. Tutte le risorse andranno sul fronte degli investimenti produttivi con particolare attenzione alla componentistica che è la vera forza del Made in Italy”, ha dichiarato il ministro Adolfo Urso.
Invece, Secondo Anfia – Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica, i fondi rimasti per l’industria automobilistica sono “del tutto insufficienti” per sostenere la riconversione del settore e compromettono la competitività delle aziende italiane. Per l’associazione, “l’automotive è il principale settore manifatturiero italiano, conta oltre 270mila addetti diretti, ha un fatturato di oltre 100 miliardi di euro ed è l’unico a cui è richiesta una trasformazione obbligatoria epocale in pochi anni. Inoltre, come ben noto a tutte le istituzioni, le aziende italiane oltre alle sfide del Green Deal, stanno anche affrontando una conclamata crisi industriale a livello nazionale, che, unita al forte calo dei volumi di mercato a livello europeo, sta mettendo seriamente a rischio la sopravvivenza di un’eccellenza italiana”.
Il taglio agli incentivi auto arriva in un momento di forti tensioni tra Italia ed Europa, con il governo di Giorgia Meloni che continua a contestare il divieto di vendita di veicoli a benzina e diesel previsto per il 2035, proponendo di anticiparne la revisione al 2025, un anno prima rispetto al piano originale. E anche il settore non se la sta passando bene, visto il crollo di Volkswagen e i dazi sulle auto elettriche cinesi.
A fine settembre, il ministro Urso aveva presentato le richieste del Governo italiano alla Commissione Europea, sottolineando la necessità di “massicci investimenti pubblici e privati, analoghi a quelli americani, per favorire tecnologie avanzate e sostenere l’acquisto di auto elettriche, oggi fuori portata per molti lavoratori.” Ma con questi tagli, tali investimenti sembrano ormai poco attuabili in Italia.
Al giro di boa, le parti ‘’vinte’’ sembrano tante:
in primo luogo i lavoratori dipendenti che rischiano di perdere il lavoro; l’industria automobilistica italiana, che dopo aver visto nel corso degli anni il succedersi di diverse acquisizioni di importanti aziende automobilistiche italiane come FIAT, Lancia e Alfa Romeo da parte di Stellantis - holding internazionale con sede nei Paesi Bassi, ora deve affrontare le conseguenze di un taglio finanziario simile in un settore che prima era di eccellenza nel nostro Paese e che ora appare enormemente debilitato; e infine, l’obiettivo primario europeo della transizione ecologica con la finalità di ridurre a zero le emissioni di CO2 provenienti dalle automobili, puntualizzato dal divieto di immettere sul mercato tutte le auto che non rispettano questo requisito imposto al momento dall’UE a decorrere dal 2035, che l’Italia, insieme agli stati membri, dovrebbe assecondare e non contrastare. Che dire, una risposta precisa ce la potrà dare solo il tempo, ma se una mente illuminata come quella di Albert Einstein disse che “Il tempo è relativo, e il suo unico valore è dato da ciò che noi facciamo mentre sta passando.’’ Allora sarà molto facile dargli ragione.
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