Tanta autonomia, tante differenze
- Rocco Filippo Litterio
- 28 mar 2024
- Tempo di lettura: 4 min
Chi mastica il diritto lo sa, il nostro ordinamento contempla la parola e il concetto di “autonomia” in diverse forme e fattispecie: dall’autonomia privata, ossia il regolamento degli interessi attinenti alla propria sfera giuridica, all’autonomia contrattuale, intesa come la totale libertà (entro naturalmente i confini posti dalla legge) di determinare il contenuto di un contratto, fino all’autonomia delle Regioni nella fissazione dei propri statuti e poteri, sancita addirittura dalla Costituzioneall’articolo 114.
Ebbene, è proprio di autonomia che negli ultimi tempi si sente spesso parlare; e in particolare è proprio di quest’ultima accezione di autonomia che si è occupato uno dei progetti legislativi più discussi delle ultime settimane: il disegno di legge di iniziativa governativa sulla cosiddetta autonomia differenziata, approvato dal Senato lo scorso 23 gennaio e attualmente in esame presso la Commissione Affari Costituzionali della Camera dei deputati.
Proposta dal Ministro per gli Affari Regionali e le Autonomie Roberto Calderoli, questa riforma ha già toccato, in giuristi ed esperti, le corde della discussione e della critica, sia di natura politica che strettamente giuridica.
Posto il nostro relativo interesse per la prima, in questa sede ci occuperemo di esaminare più nel dettaglio quali siano gli effetti giuridici di questo disegno di legge così dibattuto, per coglierne, in seconda istanza, anche i risvolti di natura politica.
Senza volerci addentrare direttamente nei meandri dei dieci articoli il testo del progetto (lunghi, articolati e di difficile comprensione), ci basti sapere, quale punto di partenza, che la riforma costituirebbe l’attuazione dell’articolo 116, ultimo comma, della Costituzione, che prevede la possibilità di conferire alle Regioni ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia; ecco definita, dunque, l’autonomia differenziata, intesa come la possibilità, per le regioni, di chiedere una maggiore autonomia decisionale, rispetto allo stato, di quella prevista in origine dal Costituente.
Il disegno di legge individua, in totale, 23 materie riguardo le quali le Regioni potranno chiedere maggiore autonomia, fra le quali figurano, ad esempio, l’istruzione, la tutela della salute, quella del lavoro, l’ambiente, la cultura e molto altro. La concessione dell’autonomia sarà basata, in particolare, sulla disponibilità economica della singola Regione (e, dunque, sulle sue possibilità di finanziare i progetti derivanti dalla concessione), e sulla cosiddetta “spesa storica” della stessa regione, ossia sulla quantità di investimenti fatti nel corso degli anni nell’ambito in cui l’autonomia è richiesta. La proposta prevede, inoltre, che ogniRegione possa, per finanziare il progetto, trattenere una parte del proprio gettito fiscale.
Il nodo della riforma è però costituito dai LEP, ossia i Livelli Essenziali delle Prestazioni, che rappresentano il livello minimo di servizi che lo Stato deve garantire ad ogni Regione, e sono sanciti dalla Costituzione. La riforma, a riguardo, prevede che l’autonomia differenziata potrà essere concessa alla Regione che ne fa richiesta, una volta che siano stati definiti i LEP a livello nazionale.
Affrontata questa sommaria e veloce comprensione, è naturale che il lettore, per capirne i risvolti più pratici, si domandi cosa abbia fatto sì che questo disegno di legge fosse così tanto discusso già nei lavori preparatori delle commissioni parlamentari; per capirlo a pieno, la cosa migliore da fare è riportare alcuni dei giudizi più autorevoli che nelle ultime settimane hanno alimentato il dibattito intorno a questo d.d.l..
Senza dubbio la prima opinione da analizzare non può essere che quella del giurista Sabino Cassese, ex ministro, giudice costituzionale e professore universitario, ma soprattutto presidente del Comitato per la Definizione dei LEP, dunque non un semplice spettatore, ma una delle figure più coinvolte nella vicenda.
Dice Cassese che l’autonomia differenziata è un’occasione da non buttare via fossilizzandosi su approcci ideologici, in quanto la subordinazione dell’autonomia alla determinazione dei LEP scongiurerebbe qualunque rischio dell’aumento di eventuali diseguaglianze tra Nord e Sud Italia.
Pare però che l’opinione del professor Cassese, per quanto autorevole e ponderata, sia rimasta quasi isolata: finanche alcuni dei suoi stessi collaboratori nel Comitato per la definizione dei LEP, lo scorso giugno hanno abbandonato i lavori a causa di forti perplessità circa i costi degli stessi LEP e il ruolo marginale del Parlamento nella garanzia dei finanziamenti; e parliamo di personalità del calibro di Giuliano Amato e Franco Gallo, entrambi ex presidenti della Corte Costituzionale.
Di esautorazione del Parlamento ha parlato anche Massimo Villone, professore emerito di diritto costituzionale all’Università di Napoli Federico II, il quale sostiene che questo disegno di legge trascura completamente la società civile, lede i diritti dei cittadini e mina l’autorità della Repubblica.
Ancora, un altro ex presidente della Corte Costituzionale, nonché ministro della giustizia, come Giovanni Maria Flick, che parla, anch’egli, di destituzione del nostro organo legislativo, ridotto, secondo lui, ad assolvere un compito meramente “notarile”; ma oltre a ciò si sofferma sul modello di regionalismo solidale che la nostra Costituzione sancisce, e che invece il disegno di legge renderebbe competitivo.
E poi ancora intellettuali, giornalisti, economisti, politici, che descrivono questa riforma come “la secessione dei ricchi”, “l’aumento del divario tra Nord e Sud”, “La frammentazione di una nazione” e chi più ne ha più ne metta.
Non mancano, va detto, opinioni favorevoli in dottrina, come quella degli ordinari di Diritto Pubblico all’Università di Roma Tor Vergata, Francesco Saverio Marini e Giovanni Guzzetta, con quest’ultimo che addirittura ritiene il d.d.l. “la scossa che serve al Sud per rilanciarsi e liberarsi dall’assistenzialismo; un’occasione per unire il paese e non per dividerlo.”
Insomma, pur essendo ancora in fase di iter legis, l’autonomia differenziata è già riuscita a dividere, come meglio non avrebbe potuto, l’opinione pubblica, giuridica e non, della scena nazionale.
Come forse i classicisti sanno, la parola “autonomia”, da autòs(“di sé stesso”) e nòmos (“regola”) significa “che si regola da solo”. Possiamo benissimo dire che, alla luce degli effetti prodotti, questo disegno di legge una regola se l’è già data: quella di far parlare di sé.
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