Salario Minimo: uno sguardo critico alle possibili conseguenze
- Giulia Carboni
- 15 set 2023
- Tempo di lettura: 6 min

Il problema
Per essere estremamente concisi, in Italia ci sono 23 milioni di lavoratori e la mediana dei loro salari si aggira tra i 22 e i 24 mila euro lordi.
Mi perdonerete la schiettezza, ma credo che, più di tanti giri di parole, questa introduzione inquadri perfettamente il problema: i salari mediani italiani risultano davvero bassi, specie se confrontati con i dati europei.
Inoltre, com’è noto, in Italia gli stipendi non crescono da anni e la recente crescita inflazionistica, di certo, non può che acuire il problema.
La necessità è, quindi, quella di dare soluzioni concrete ai lavoratori nel minor tempo possibile.
La proposta
Questo ha riportato in auge il tema del c.d. salario minimo, che già diverse volte, a partire dal 2014, era stato portato all’attenzione del Parlamento in varie declinazioni sottoforma di Proposte di Legge, arenatesi però, come spesso accade, nei meandri del nostro iter legislativo.
A partire dallo scorso luglio, però, è in esame in Assemblea alla Camera una nuova proposta di legge presentata il 13 ottobre 2022, cui hanno aderito tutti i partiti dell’opposizione ad eccezione di Italia Viva.
L’atto in questione propone, per l’appunto, di stabilire un salario minimo legale fisso di nove euro lordi l’ora, corrispondente, secondo una stima il presidente dell’INPS Pasquale Tridico, la media tra il 50% del reddito medio ed il 60% del salario mediano, che sarebbero in Italia, nel settore privato, di 10,59 e 7,60 euro.
I pro della proposta
La proposta, come è evidente, ha molti aspetti positivi: in primis la lotta al lavoro povero che non solo è moralmente condivisibile, ma anche dovuta; l’art. 36 co. 1 della Costituzione italiana, infatti, prevede che “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa”.
Si istituirebbe così un living wage, cioè una retribuzione che consenta ai lavoratori uno stile di vita migliore della mera sussistenza.
Un secondo aspetto da considerare è che introdurre un salario minimo comporterebbe l’estinzione dei c.d. contratti pirata, vale a dire quei contratti collettivi scarsamente rappresentativi che non danno sufficienti garanzie ai lavoratori (anche in ambito retributivo) ma che comunque falsano la concorrenza, rendendo più difficile la posizione contrattuale delle associazioni più rappresentative, causando un generale abbassamento delle retribuzioni.
Bisogna poi considerare che l’Unione Europea ha emanato la Direttiva 2022/2041 del 19 ottobre 2022 in materia di salario minimo, chiedendo agli Stati Membri di promuovere salari minimi adeguati. Adottare adesso un salario minimo non significherebbe solo adeguarsi in anticipo a quanto richiesto dall’Europa (la scadenza per adeguarsi alla direttiva è fissata per il 15 novembre 2024), ma significherebbe anche adeguarci alla maggior parte dei paesi europei, addirittura con uno dei salari minimi più elevati dell’area OCSE.
I contro della proposta
Dobbiamo però anche ragionare sulle possibili conseguenze dell’introduzione del salario minimo: indubbiamente questo comporterebbe maggiori costi per le imprese, ma a che livello?
Se si portassero a 9 euro solo gli stipendi attualmente al di sotto di tale soglia, non solo ci sarebbe un’ingiustizia nei confronti di coloro che non vedono innalzato il proprio livello retributivo, ma vi sarebbe anche un appiattimento nel trattamento di chi già percepiva una paga di 9 euro l’ora e chi invece percepiva di meno, e va considerato l’impatto sulla motivazione dei lavoratori a svolgere bene il proprio lavoro, che se lesa potrebbe comportare un abbassamento nel livello di produttività e performance del singolo lavoratore.
Se invece si scegliesse di adeguare la busta paga di tutti i lavoratori, non si deve dimenticare che l’incremento sarebbe non proporzionale, ma progressivo: se si aumentasse di 1 euro la retribuzione del livello più basso, l’aumento dei livelli superiori sarebbe di 2, 3 e più euro. Il costo del lavoro diventerebbe davvero alto per le imprese.
Qualunque delle due strade si scelga, ci sarà un aumento dei costi: l’imprenditore potrebbe non sapere come gestirlo e potrebbe fallire, con un conseguente aumento della disoccupazione.
Oppure potrebbe scegliere di scaricare detti costi sul consumatore finale, aumentando i prezzi dei prodotti e accrescendo la spirale inflazionistica.
Oppure potrebbe ricorrere al lavoro nero: si, perché quando si parla di soluzioni che in altri Paesi hanno funzionato, dobbiamo sempre tener presente il contesto in cui vogliamo trapiantarle, ed in un Paese come il nostro, dove il lavoro sommerso è purtroppo un problema sistemico, non possiamo semplicemente voltare lo sguardo e ignorare la questione. Non sempre quello che altrove funziona è applicabile in una realtà diversa, e non tutti gli Stati Europei che hanno adottato un salario minimo l’hanno fatto per ragioni puramente ideologiche ma, magari, per problematiche strettamente legate al proprio contesto economico, sociale e culturale (ad esempio la Germania lo ha introdotto nel 2015 dopo anni di accesi dibattiti sulle differenze retributive tra est e ovest a seguito della riunificazione).
In secondo luogo, dobbiamo domandarci: ne abbiamo davvero bisogno?
Nella nostra Costituzione esiste il sopracitato art. 36, che ormai da tempo la giurisprudenza utilizza come strumento flessibile per la determinazione di un “minimo salariale” per poter intervenire sui contratti che prevedono retribuzioni al di sotto di tale soglia, facendo riferimento a quanto stabilito dalla contrattazione collettiva nazionale.
E a tal proposito: non si rischia di diminuire il potere di contrattazione sindacale? Come fatto recentemente notare dal professor Maurizio Del Conte in una intervista al giornale “L’eco di Bergamo”, esaminando un caso concreto, attualmente esistono contratti collettivi che già prevedono un minimo salariale superiore ai 9 euro orari, come il contratto dei metalmeccanici che prevede un minimo di 17 euro l’ora; cosa accadrebbe in sede di contrattazione collettiva ai rappresentanti dei metalmeccanici? È verosimile che il datore di lavoro risponderebbe loro che il contratto prevede un numero ben superiore rispetto ai nove euro l’ora, ed escluderà possibili concessioni ed ulteriori trattative. Ma con un’inflazione incalzante è davvero questo quello di cui abbiamo bisogno? Se la contrattazione collettiva risultasse così “ingessata”, per innalzare i salari dovremmo attendere che l’intervento del legislatore proceda ad attualizzare i salari, ma come è facile immaginare, sarebbe un procedimento tutt’altro che tempestivo.
Dopodiché dobbiamo domandarci se 9 euro l’ora sia davvero la cifra più adatta alla situazione italiana.
Per mitigare le conseguenze dell’aumento del costo del lavoro, in particolare il lavoro nero, ma pur volendo fissare una soglia che non sia inefficace perché troppo bassa, l’OCSE ha proposto di fissare la paga minima tra i 5 e i 7 euro lordi, guardando anche all’esperienza degli altri Stati europei.
Infine, alcuni aspetti tecnici: la norma proposta non risulta del tutto chiara in merito al suo ambito di applicazione. Il minimo salariale si applicherebbe solo ai contratti collettivi vigenti oppure anche a quelli scaduti o disdettati, ma ancora applicati in ragione della ultrattività (validità fino a nuova stipulazione) dei contratti collettivi?
Altra questione è quella posta dall’articolo 39 della Costituzione: secondo alcuni, come il professor Michele Miscione (che cita: Corte Cost., 19 dicembre 1962, n. 106; Corte Cost., 13 luglio 1963, n.129; Corte Cost., 10 giugno 1966, n.67; Corte Cost., 22 gennaio 1976, n. 19), detto articolo porrebbe una riserva di procedimento in favore delle associazioni sindacali, precludendo al legislatore la possibilità di intervenire in materia di contrattazione collettiva.
Ma se davvero esistesse questa riserva, non sarebbe in contrasto con la direttiva europea di cui sopra? Sembra che questo rischio non ci sia, in quanto quella direttiva (nel rispetto dell’art. 153 par.5 TFUE), non solo non stabilisce un salario minimo preciso, ma prevede comunque un rafforzamento della contrattazione collettiva, che va considerata quale primo strumento da utilizzare nella lotta al lavoro povero e, anzi, ammette apertamente la possibilità che ci siano Paesi in cui “la tutela garantita dal salario minimo è prevista esclusivamente mediante la contrattazione collettiva”.
Proposte alternative
Tra le proposte alternative abbiamo l’onnipresente alleggerimento del cuneo fiscale, ma anche, come è facile intuire, il rafforzamento della contrattazione collettiva, che potrebbe avvenire, ad esempio, adottando un impianto di tipo amministrativo per il conteggio dei voti degli iscritti e affrontano finalmente la questione dell’applicazione erga omnes dei contratti per risolvere il problema della concorrenza dei contratti pirata e il dumping contrattuale.
Conclusioni
Come si sarà notato, questo articolo si concentra di più sulle criticità della proposta di legge che non sui suoi pro. La ragione è semplice: da un lato non credo ci sia dubbio alcuno sul fatto che condizioni di vita dignitose siano un diritto di ogni uomo, sul fatto che beh, ci può suonare giusto che si guadagnino almeno nove euro l’ora, e ci può indubbiamente sembrare un vantaggio avere la garanzia di un numero fisso che non può diminuire.
Per elaborare ulteriormente questi punti, avrei dovuto però affrontare la questione da un punto di vista ideologico, mentre credo che problemi concreti meritino soluzioni concrete e che vadano dunque osservate da un punto di vista più tecnico.
D’altro canto, questo non significa che si debba, come conclusione di questo articolo, escludere categoricamente il minimo salariale: l’invito che rivolgo ai lettori è quello di sfruttare le domande che sono state poste per continuare ad interrogarsi in autonomia: davvero la crescita del costo del lavoro sarà talmente significativa da comportare gli effetti quasi catastrofici che abbiamo paventato? Possiamo, magari, dotarci di un salario minimo adottando anche delle contromisure per limitare l’espansione del lavoro nero? Nove euro è la cifra corretta? La perdita di potere contrattuale dei sindacati sarà davvero di questo livello? Davvero non è trascurabile, magari, a fronte dei benefici?
L’invito che vi faccio, quindi, è quello di continuare a rifletterci su e a porvi domande: l’importante è non presumere e ritenere istintivamente che, allorquando una proposta appaia giusta e sacrosanta, automaticamente i mezzi che si vogliono adottare per raggiungere quell’obbiettivo siano i migliori possibili.
La capacità di ciascuno di noi di riflettere e porsi domande del genere fa tutta la differenza del mondo.
By: Giulia Carboni
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I contenuti degli articoli rappresentano esclusivamente le idee e le opinioni degli autori, e in nessun modo i punti di vista dell'Università Bocconi.
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