La crisi istituzionale spagnola del 2022
- Riccardo Barni
- 28 ott 2023
- Tempo di lettura: 6 min

La Spagna sta uscendo da una crisi istituzionale senza precedenti nella storia della sua democrazia. Questa crisi ha destato preoccupazione non solo in Spagna, come affermato da Re Felipe IV nel suo consueto discorso di Natale, ma anche nell’Unione Europea, tanto da smuovere la Commissione, che ha formalmente richiesto alla Spagna di risolvere al più presto il problema.
Ci si pone, quindi, il quesito su cosa abbia scatenato una crisi di così grande portata, tale da “erodere le istituzioni”* e gettare una tale ombra sull’Europa. La risposta a detto quesito sembrerebbe essere il deterioramento dei rapporti tra i due maggiori partiti politici della Spagna, il Partito socialista spagnolo (Psoe) e il Partito popolare (Pp), a causa del mancato rinnovo del Consejo Generàl del Poder Judicial, ossia il Consiglio Generale del Potere Giudiziario, che poi ha portato allo scontro tra le Cortes Generales e il Tribunale Costituzionale.
Sufficientemente confusi? Bene. Per chi non fosse pratico di diritto spagnolo, si fornirà al lettore un’infarinatura per meglio comprendere questa imbrogliata faccenda.
La Spagna è uno dei pochi modelli ancora esistenti in Europa di monarchia costituzionale: l’attuale Re, Felipe IV, è il capo dello Stato e detiene funzioni di rappresentanza e altri poteri espressamente attribuitigli dalla Costituzione. Il potere legislativo viene esercitato tramite un sistema bicamerale, ossia le Cortes Generales, divise in Congresso dei deputati e Senato. Il potere esecutivo è nelle mani del Consiglio dei ministri (Consejo de Ministros), retto da un Presidente del Governo. Infine, vi è il potere giudiziario, che passa dai tribunali ordinari fino all’ultimo grado, il Tribunal Supremo, equivalente della nostra Corte di Cassazione. A garantire il rispetto della Costituzione nei suoi principi e nell’attinenza delle leggi a quest’ultimi, vi è il Tribunale Costituzionale, grosso modo equiparabile alla nostra Corte costituzionale. Il Consejo Generàl del Poder Judicial, invece, rispecchia il nostro Consiglio Superiore della Magistratura, i cui membri, 12 dei quali scelti tra giudici e magistrati e 8 scelti tra avvocati e giuristi sono eletti dalle Camere a maggioranza di 3/5 dei membri, ai sensi della Legge Organica sul potere giudiziario n. 6/1985 (riformata con le due Leggi Organiche nn.2/2001 e 4/2013).
Riassunto in breve il loro ordinamento, procediamo ora ad analizzare i fatti sopracitati e a metterli in ordine.
La situazione di paralisi che porta a questa crisi inizia nel dicembre 2018, quando scade il mandato quinquennale dei membri del CGPJ eletti nel 2013, i quali, per mancanza di un qualsivoglia accordo parlamentare sulla nomina dei nuovi, rimangono ad esercitare le loro funzioni in regime di proroga.
I due partiti in questione si colpevolizzano a vicenda della mancanza dell’accordo per il rinnovo dei seggi.
Qui è necessario fare un appunto di grande importanza per comprendere la vicenda e perché questa crisi abbia coinvolto così tanto le istituzioni e la democrazia stessa: in Spagna, per quanto il potere giudiziale dovrebbe essere autonomo, è in realtà molto politicizzato, il che significa che i partiti politici hanno molta influenza su di esso. Questo perché, in seguito alle ultime Leggi Organiche in vigore (in particolare quella del 2001), tutti i membri vengono scelti dalle Camere venendo naturalmente influenzati dalla maggioranza politica, che tenderà a scegliere i membri a sé più vicini politicamente. La selezione, infatti, avviene scegliendo i candidati da una lista proposta dalle associazioni professionali dei giudici e da giudici non associati. In pratica, le associazioni di giudici si limitano a dare il loro avallo agli associati che, per iniziativa personale, si presentano alle elezioni per l’associazione, ma dopo aver raggiunto un accordo diretto con il partito di riferimento.
Il risultato è un sistema di relazioni tra i candidati e il partito corrispondente che porta, nelle battute finali, ad avere una divisione in blocchi politici dell’organo.
Si tenta, quindi, di individuare una soluzione per risolvere questo problema dando così alla luce due riforme aventi, però, scopi diametralmente opposti tra loro.
La prima, approvata con legge organica n. 4/2021, modifica dell’art.570 bis della legge organica 6/1985, e disciplina il regime giuridico di proroga del Consiglio Generale del Potere Giudiziario, con conseguente limitazione delle funzioni dei membri ed escludendo dalle loro funzioni la nomina di alcune importanti cariche giudiziarie (come i giudici del Tribunale Costituzionale, Supremo e dei Tribunali superiori di giustizia delle Comunità autonome). Il risultato, che avrebbe dovuto essere uno stimolo per raggiungere un accordo, si concretizzò, però, in un serio problema di cariche vacanti in molti organi giudiziari del Paese.
La seconda, approvata nel 2022 per risolvere il problema del rinnovo, stavolta, del Tribunale Costituzionale, che doveva rinnovarsi di un terzo con la nomina contestuale di due giudici proposti dal Governo e altri due dal CGPJ. L’idea è stata, quindi, di rinnovare ai giudici del CGPJ la facoltà di nominare i giudici costituzionali, con la previsione di un termine vincolante di tre mesi dalla data di scadenza del mandato di quest’ultimi.
Quello che, tuttavia, non fu considerato con l’ultima riforma, è che la divisione in blocchi e la radicalizzazione all’interno del CGPJ era così grave che non si fu in grado di trovare un accordo sui due giudici costituzionali entro la scadenza del termine.
La situazione si aggravò ulteriormente a causa delle dimissioni del Presidente del CGPJ, Carlos Lesmes, rassegnate il 10 ottobre per prendere le distanze dalla complicata situazione.
L’apice della crisi arriva con la sospensione in forma “cautelarissima” di due emendamenti da parte del Tribunale Costituzionale, situazione che ha portato questo organo a scontrarsi con le Cortes Generales. Tali emendamenti, per quanto non esplicitamente, miravano a modificare la modalità di selezione dei giudici costituzionali di spettanza del CGPJ al fine di giungere ad un rinnovo immediato. Tuttavia, i suddetti emendamenti erano provvisti di vizi di incostituzionalità, formali e sostanziali, talmente grandi da essere presto notati, appunto, dal Tribunale Costituzionale.
Per analizzarli brevemente nel dettaglio: il primo rivedeva la procedura e i quorum previsti per l’elezione dei suddetti giudici da parte del CGPJ, per cui, una volta scaduto il termine dei tre mesi senza aver ottenuto la maggioranza dei 3/5, sarebbe bastata la maggioranza semplice dalla seconda votazione in poi. Introduceva, inoltre, l’applicazione di sanzioni, anche penali, e responsabilità per chiunque fosse stato responsabile della mancata elezione; il secondo emendamento prevedeva, invece, una modifica dell’art. 16 della Legge organica del Tribunale Costituzionale affinché i giudici nominati dal governo potessero prendere possesso della carica senza attendere quelli nominati dal CGPJ, eliminando la facoltà del Tribunale di controllarne l’idoneità, che veniva invece data alle autorità proponenti.
Si può dunque capire la perplessità e l’indignazione del Tribunale Costituzionale quando queste proposte vennero presentate. La riduzione della maggioranza richiesta, assieme alla modalità di selezione e la previsione di responsabilità allo scadere del quorum, furono giudicate una grave anomalia costituzionale, così come la presa del potere subitanea dei giudici proposti dal governo, che creava una grave asimmetria di potere.
Il partito popolare si oppose all’esame parlamentare di tali emendamenti, presentando l’amparo, ossia il ricorso, davanti al Tribunale Costituzionale. Il ricorso viene accolto e fu adottata una storica ordinanza il 19 dicembre, che portò alla sospensione dei due emendamenti subito dopo la loro approvazione dalla maggioranza del Congresso dei deputati, avvenuta il 15 dicembre.
Il ricorso è stato ritenuto ammissibile per la sua rilevanza costituzionale, per le ripercussioni sociali e le potenziali conseguenze politiche, riconoscendo anche la sussistenza di una situazione di urgenza eccezionale con grave e irreparabile danno per i ricorrenti qualora si fosse proseguito con l’iter parlamentare dei due emendamenti.
Venne anche ribadita la subordinazione di tutti i poteri pubblici alla Costituzione e all’ordinamento giuridico, alla quale certo non potevano sottrarsi le Cortes Generales, riassicurando così la rilevanza e la primazia del Tribunale Costituzionale nel suo ruolo di garante della Costituzione.
Questo intervento del Tribunale Costituzionale è stato fondamentale per la salvaguardia del sistema spagnolo, in quanto permise di lenire, almeno parzialmente, la crisi istituzionale, anche grazie ad uno sblocco delle trattative riguardanti gli ultimi due giudici del TC, sui quali si giunse ad un compromesso.
Purtroppo, qualora ci si chiedesse se, alla fine di tutto questo lungo processo, si sia giunti alla fine della crisi, la risposta è…no! Ciononostante, è stato mosso un importante passo in avanti il problema del rinnovo del CGPJ è ancora presente, per quanto si sia più vicini alla sua soluzione.
La crisi istituzionale della Spagna, quindi, continua a causa della politicizzazione dei suoi organi giudiziari e della tendenza alla judicializaciòn estrema dei conflitti politici, con le conseguenti interferenze tra i pubblici poteri.
Ad oggi, resta solo da vedere quale sarà l’esito di questa crisi: queste premesse porteranno al definitivo deterioramento delle istituzioni e della democrazia dello Stato spagnolo? E, infine, come risponderà l’UE a questa emergenza?
Riccardo Barni
Bibliografia:
*: discorso di Re Felipe IV del 24 dicembre 2022
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I contenuti degli articoli rappresentano esclusivamente le idee e le opinioni degli autori, e in nessun modo i punti di vista dell'Università Bocconi.
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