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I contenuti degli articoli rappresentano esclusivamente le idee e le opinioni degli autori, e in nessun modo i punti di vista dell'Università Bocconi.

Aborto e legalità: come la legge 194 ha impattato sulla qualità della vita della donna

In un momento storico caratterizzato da ferventi cambiamenti sociali e dall’emergere all’interno del nostro Paese di nuove sensibilità, il legislatore si fa portavoce di tali crescenti esigenze e il 22 maggio del 1978 emana il testo della legge 194, rubricata “Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza”.

Non è un caso che una legislazione come quella sull’aborto sia stata promulgata in concomitanza delle forti prese di posizione dei movimenti femministi e con il tumulto sociale che ne è allora derivato: questo tema, a differenza delle altre questioni del c.d. bio-diritto, non dipende pertanto direttamente da considerazioni di carattere scientifico e medico, ma è legato prevalentemente a indicatori di stampo etico e morale.

Concentrando la nostra attenzione sul testo della norma, questo si propone innanzitutto di garantire un vero e proprio “diritto a una procreazione cosciente e responsabile”, di “riconoscere il valore sociale della maternità” e di “tutelare la vita umana dal suo inizio”, sancendo quindi, in maniera non equivoca, che la pratica abortiva non deve consistere in un mezzo di controllo delle nascite. Da qui ne deriva dunque il carattere di eccezionalità che caratterizza il ricorso a questa particolare e delicata procedura nel nostro ordinamento. Il testo continua, infatti, precisando che si può far ricorso ad una interruzione volontaria di gravidanza (IVG) in due casi specificatamente determinati: in primo luogo, se questa è richiesta entro i primi novanta giorni dal concepimento e se sussistono situazioni di “serio pericolo per la salute” della donna, imputabili tuttavia ad ambiti diversi tra loro, come per esempio a motivazioni sanitarie, economiche, sociali o familiari; in secondo luogo, solo se sussiste “grave pericolo” per la salute della donna, nel caso in cui siano invece già trascorsi i primi novanta giorni. Di conseguenza, è pacifico affermare che non è stato configurato un vero e proprio diritto all’aborto, bensì, semplicemente, questa pratica è stata depenalizzata, regolamentata e resa, quindi, più accessibile.

Infine, per quanto interessa in questa sede, il testo prevede la pena della reclusione per chiunque cagioni un’interruzione volontaria della gravidanza senza rispettare le indicazioni e le modalità contenute nella stessa legge, quindi operata in maniera clandestina; oltre a ciò, la norma commina una sanzione pecuniaria a carico della donna che vi si sottopone.

Dopo aver esaminato i contenuti principali di questa legge, è opportuno analizzarne il contributo in termini di benefici derivanti dalla diminuzione del ricorso a pratiche criminali. Per realizzare ciò, è essenziale fare riferimento alla relazione al Parlamento sull’attuazione e sugli effetti della L. 194/1978, redatta dal Ministro della Giustizia. Essa è strutturata con la seguente modalità: presenta, da un lato, i dati relativi agli anni 1995-2016 che riguardano la giurisdizione penale (cioè la repressione delle violazioni delle disposizioni penali previste dalla legge) e, dall’altro, quelli relativi agli anni 1989-2016 che attengono alla giurisdizione volontaria (cioè le richieste al Giudice Tutelare di autorizzazione all’aborto da parte di donne minorenni, nel caso in cui non si sia ricevuto assenso dei soggetti che su di esse esercitano la potestà o la tutela).

Per quanto concerne la prima categoria, si osserva che il fenomeno di cui ci si sta occupando è di ridotte dimensioni: si registra un numero contenuto di procedimenti penali iscritti presso le procure (144 procedimenti penali nel 2016) e, allo stesso modo, limitato è anche il numero di persone iscritte presso le procure (239 persone nel 2016). Facendo riferimento ai dati a disposizione, si può affermare che, in linea generale, non si osserva una tendenza ad eseguire aborti clandestini in modo organizzato presso strutture sia pubbliche che private; a conferma di ciò, si può addurre il ristretto numero medio di persone iscritte per procedimento di aborto clandestino. Inoltre, è stato registrato che, nel 2016, su un totale di 144 procedimenti iscritti presso le procure solo il 23% è riferito a procedimenti per delitti di aborto clandestino.

In riferimento alla categoria della giurisdizione volontaria, i dati lasciano inequivocabilmente intendere che il fenomeno in questione sia in continua diminuzione; si osserva infatti che il numero di richieste da parte di donne minorenni è risultata decrescente (692 richieste nel 2016, equivalente a quasi la metà delle richieste effettuate nel 2007).

Dopo aver analizzato il fenomeno in termini non solo astratti, ma anche supportato da dati oggettivi, ci si può chiedere se in questo caso la pena astrattamente comminata a tutti coloro i quali avessero violato la legge 194/1978 abbia effettivamente svolto la funzione a questa strettamente connaturata, ossia quella di deterrente, o più precisamente di prevenzione generale.

Stando ai dati di cui si dispone, questa domanda non può che avere risposta positiva, per quanto riguarda il caso concreto: infatti, si è generalmente osservato che non è solo diminuito il tasso di criminalità connesso alla IVG, ma è diminuito anche il ricorso stesso a questa pratica, come testimoniato dalla relazione annuale al Parlamento sull’interruzione volontaria di gravidanza del Ministero della Salute trasmessa nel 2020 (66.413 IVG effettuate, circa il 9,3% in meno rispetto al 2019, con un tasso di abortività[1] diminuito). Pertanto è pacifico affermare che, nel caso concreto, la pena minacciata ai soggetti che fossero coinvolti in organizzazioni che praticassero l’aborto clandestino, o che in altro modo non si attenessero a quanto disposto dalla legge sulla IGV, abbia sortito gli effetti sperati, vale a dire quelli di regolamentare e rendere dunque più accessibile, più sicuro e più efficace il sistema dell’interruzione volontaria di gravidanza. Questo tanto atteso risultato ha certamente impattato positivamente sul miglioramento della salute generale della donna e anche su una sua maggiore capacità di autodeterminazione.

Questa legge, rivendicata in prima persona dai movimenti femministi degli anni Settanta, ha dunque rappresentato una cruciale conquista, di cui hanno, nel lungo periodo, beneficiato tutte le donne fino al momento presente, in termini di salute, sicurezza e soprattutto di libertà di autodeterminazione.

In conclusione, è condivisibile ritenere che la L 194/1978 abbia rappresentato, nel corso della storia italiana di fine Novecento, un importante baluardo per quanto riguarda la tutela dei diritti e delle libertà civili; non bisogna dimenticare però che ha mantenuto fino ad oggi il suo testo originale e che, con ogni probabilità, essendosi acuita la sensibilità sociale, il legislatore potrebbe dover intervenire ulteriormente per tutelare in maniera ancora più completa la libertà di scelta della donna, soprattutto cercando di trovare soluzioni efficaci e territorialmente diffuse al problema dell’elevato tasso di medici obiettori di coscienza. Stando alle più recenti dichiarazioni della Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, non sembra ci siano però al momento interventi modificativi in programma.



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[1] N. IVG rispetto a 1.000 donne di età 15-49 anni residenti in Italia

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